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L’evoluzione storica del c.d. diritto all’oblio nel passaggio dall’era analogica a quella digitale

Il diritto all’oblio come diritto di “nuovo conio” nell’ambito dei diritti della personalità

1. Il diritto all’oblio come diritto di “nuovo conio” nell’ambito dei diritti della personalità.
Nel corso degli ultimi anni la dottrina e la giurisprudenza hanno prestato particolare attenzione al diritto all’oblio, quale diritto di nuovo conio nell’ambito dei diritti della personalità.
Infatti, la sua ammissibilità prima e il suo bilanciamento con altri diritti costituzionalmente tutelati poi sono stati particolarmente dibattuti in seno alla giurisprudenza nazionale e sovranazionale.
Prima di affrontare specificamente la tematica del diritto all’oblio, in modo da coglierne gli aspetti problematici, si reputa peraltro opportuno trattare i diritti della personalità.
Questi ultimi, che in passato furono descritti dal Gierke “diritti che garantiscono al loro soggetto una parte essenziale della propria personalità”,[1] possono oggi definirsi come quei diritti che tutelano la persona nei suoi valori essenziali, ossia nei suoi interessi materiali o morali.[2]
Tali diritti, altresì noti come diritti fondamentali dell’uomo, costituiscono concreta espressione della circostanza che l’ordinamento non tutela la persona solo per quello che ha ma anche in quanto è, ossia nelle facoltà che costituiscono ragione e fondamento della sua esistenza e del suo sviluppo.[3]
Sebbene la tutela dei diritti della personalità trovi espresso riconoscimento nell’art. 2 della Costituzione, nella parte in cui statuisce che “la Repubblica tutela a garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, non è sempre stato chiaro se tale tutela dovesse intendersi come ristretta ai soli diritti espressamente menzionati nella Carta Fondamentale o se, viceversa, potesse estendersi anche a quei diritti che, di volta in volta, si affermano nel contesto storico-sociale.
Sul punto in dottrina sono emersi due orientamenti contrapposti.
Un primo filone interpretativo sosteneva che l’art. 2 Cost. non potesse interpretarsi come fattispecie chiusa in quanto, altrimenti, tale norma si sarebbe rivelata meramente ricognitiva dei diritti enumerati nella Costituzione.
Un secondo filone interpretativo, invece, riteneva che la norma costituzionale non potesse considerarsi semplicisticamente come fattispecie aperta, non essendovi alcun appiglio normativo sul punto.
Alla fine si è affermato un orientamento per così dire “mediano”, che ha interpretato l’art. 2 Cost. come fattispecie chiusa nei confronti di valori estranei al catalogo dei diritti costituzionali e al contempo come fattispecie aperta in relazione a quei valori che, invece, sono suscettibili di assumere nell’evoluzione del contesto sociale dignità costituzionale analoga a quella dei diritti già espressamente tutelati nella Carta Fondamentale.[4]
In altri termini, l’art. 2 Cost. non può intendersi in senso restrittivo, ossia come norma che si limita a richiamare i diritti fondamentali dell’uomo sparsi negli articoli della Costituzione ma deve interpretarsi, in senso ampio, come clausola tendenzialmente aperta idonea ad assicurare tutela ai nuovi valori emergenti nella società.[5]
Pertanto, il catalogo dei diritti della personalità, grazie all’interpretazione evolutiva operata sull’art. 2 Cost., è diventato un ampio “contenitore” in cui ricomprendere, oltre ai tradizionali diritti al nome, all’immagine, alla salute e all’informazione,[6] anche i nuovi diritti alla riservatezza o all’identità personale e il c.d. diritto all’oblio.
La tutela di questi ultimi, i quali presentano il carattere “trasversale” di venire in rilievo in ogni aspetto sia della organizzazione pubblica e privata che della vita quotidiana[7], è stata avvertita, in modo quasi dirompente, nei primi anni novanta in occasione della rapida diffusione delle testate giornalistiche.
Infatti, il diritto all’identità personale, che può definirsi come l’interesse del singolo a far apparire all’esterno, in maniera veritiera, la propria immagine nelle sue peculiari caratteristiche, è suscettibile di essere leso dalla diffusione della notizia in modo scorretto.[8]
L’esigenza di tutela di questo diritto è stata avvertita in modo ancora più forte negli anni duemila, a seguito del rapido sviluppo della rete informatica e dell’affermarsi dei social networks. Tra l’altro, con l’avvento di internet e dei diversi mezzi di comunicazione informatici, più che di identità personale sarebbe maggiormente corretto parlare di “identità digitale”, che può definirsi come l’insieme delle informazioni e delle risorse concesse da un sistema informatico ad un particolare utilizzatore del sistema stesso.[9]
Ed è proprio in tale contesto che è emerso il diritto all’oblio, ossia il diritto a che determinate notizie inerenti la propria persona vengano “dimenticate”.
2. Il diritto all’oblio nell’era c.d. analogica.
Il diritto all’oblio ha assunto diversi significati in base ai mutamenti storico-tecnologici che hanno interessato la pubblicazione e la diffusione dell’informazione.
Nella sua accezione originaria, sorta al tempo delle “pubblicazioni su carta”, il diritto all’oblio veniva declinato come il legittimo interesse della persona a non essere soggetta alla reiterata pubblicazione di una notizia già legittimamente pubblicata in passato.
Il diritto all’oblio, così inteso, ruotava attorno a due concetti: il tempo e l’utilità sociale della notizia.
Il fattore tempo rilevava in quanto era il decorso di un notevole intervallo temporale a giustificare la pretesa del soggetto a riappropriarsi di notizie che lo riguardavano.
Il requisito dell’utilità sociale della notizia, invece, rilevava in negativo, in quanto è proprio l’inesistenza di una utilità sociale insita nella rievocazione delle notizie a far prevalere il diritto all’oblio sul diritto all’informazione.[10]
Nella sua accezione originaria, quindi, il diritto all’oblio assolveva la funzione di evitare l’indeterminata esposizione della persona ai danni che la ripubblicazione avrebbe arrecato al suo onore e alla sua reputazione.[11]
Da quanto detto emerge con evidenza come il diritto all’oblio presenti delle interferenze con il diritto di cronaca, quale estrinsecazione del diritto costituzionalmente tutelato della libertà di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost.
Più che un’interferenza, in realtà, si tratterebbe di un vero e proprio scontro tra diritti costituzionalmente tutelati: il diritto all’informazione ex art. 21 Cost., da un lato e il diritto all’oblio ex art. 2 Cost., dall’altro.
In ogni caso, atteso che tali diritti presentano la medesima dignità costituzionale, l’eventuale contrasto non può che essere risolto con un bilanciamento in concreto degli interessi che, di volta in volta, vengono in rilievo.
Ebbene, è proprio l’evoluzione giurisprudenziale in materia di diritto di cronaca ad agevolare l’interprete nell’individuazione dei confini applicativi del diritto all’oblio, atteso che quest’ultimo potrà venire in rilievo solo laddove vengano meno i presupposti per l’esercizio del diritto di cronaca.
Sul punto la giurisprudenza ha precisato che il potere-dovere, conferito al giornalista, di portare a conoscenza dell’opinione pubblica notizie afferenti la sfera personale di un singolo non è senza limiti perché, altrimenti, si tradurrebbe in un’ingiustificata negazione del diritto alla riservatezza.
Infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sia civile[12] che penale[13] hanno affermato che il diritto di cronaca è legittimo quando concorrono congiuntamente i seguenti tre requisiti: verità, pertinenza e continenza.
La verità ricorre quando i fatti sono riportati in modo oggettivo, senza alcuna mistificazione artificiosa delle realtà da parte dell’autore;
La pertinenza, invece, si ha quando la notizia è pertinente all’interesse sociale e presenta, per la comunità, un’utilità.
La continenza, infine, ricorre nel caso in cui i fatti siano esposti in modo civile e non eccedente lo scopo informativo da assolvere.
Oltre ai suddetti requisiti, la giurisprudenza nell’operare il predetto bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio ha aggiunto un “quarto requisito”, rappresentato dall’attualità della notizia.
Pertanto, anche laddove sussistano i requisiti per garantire la preminenza dell’interesse della collettività alla conoscenza della notizia, il diritto di cronaca dovrebbe considerarsi recessivo quando manchi l’attualità della stessa. Infatti, il trascorrere del tempo determinerà la prevalenza dello ius excludendi alios, da parte dell’interessato, da indebite intrusioni nella propria vita privata rispetto al diritto di informazione.[14]
Di conseguenza, la pretesa di un soggetto a riappropriarsi di notizie che lo riguardano è ammessa non solo a seguito del decorso di un notevole intervallo temporale ma anche al venir meno dell’interesse sociale alla rievocazione delle notizie stesse.
Nonostante l’elaborazione in via giurisprudenziale di un ulteriore requisito, al fine di scongiurare la totale compressione del diritto all’oblio da parte del diritto di cronaca, il rapporto tra gli stessi può dirsi tutt’altro che risolto: recentemente, infatti, la Corte di Cassazione ha addirittura rimesso la questione alle Sezioni Unite, essendosi creato un contrasto interno alla Corte stessa.[15]
Un primo orientamento, riprendendo quanto emerso in seno alla giurisprudenza sovranazionale, ha ritenuto giustificabile la compressione del diritto di cronaca in favore del diritto all’oblio qualora concorrano in via cumulativa i seguenti requisiti: a) contributo arrecato dalla diffusione della notizia di interesse pubblico, b) interesse effettivo ed attuale alla diffusione della notizia, c) elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, d) modalità impiegate per ottenere e dare l’informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione f) preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al pubblico.
Viceversa, l’orientamento sposato dall’ordinanza di rimessione[16] ritiene che i suddetti requisiti non debbano ricorrere in via concorrente ma alternativa, perché, altrimenti, il diritto all’oblio rischierebbe di non venire più in rilievo.
In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, si può osservare come i suddetti caratteri sembrerebbero richiamare, sia pure in modo più restrittivo, i “quattro” requisiti già individuati dalla giurisprudenza precedente, allo scopo di stabilire un maggior equilibrio tra i contrapposti diritti costituzionalmente tutelati, con l’aggiunta di un ulteriore requisito di carattere “procedurale” che, invero, rischia di rendere ancor più nebuloso e complesso l’esercizio del diritto all’oblio.
Nonostante l’apprezzabile sforzo delimitativo profuso dalla giurisprudenza, a parere di chi scrive appare preferibile non richiamare i requisiti sopra esposti, in particolare l’ultimo, poiché questi anziché semplificare le ipotesi in cui poter comprimere il diritto di cronaca in favore del diritto all’oblio, non farebbero altro che aggravare l’esercizio dello stesso.
Infatti, laddove si accogliesse la tesi favorevole alla congiunta previsione dei suddetti requisiti si perverrebbe ad una sostanziale disapplicazione del diritto all’oblio in favore del diritto di cronaca, in quanto, difficilmente, i requisiti verrebbero congiuntamente in rilievo.
Viceversa, laddove si accogliesse la tesi avallata nell’ordinanza remittente e si richiamassero gli stessi requisiti sempre e solo in via alternativa si rischierebbe di far prevalere quasi sempre il diritto all’oblio sul diritto di cronaca, con correlativa lesione dell’art. 21 Cost.
Pertanto, sembrerebbe opportuno proporre un orientamento per cosi dire “intermedio”, rievocando solo i requisiti “tradizionali” della verità, pertinenza, continenza e dell’attualità della notizia che, oltre ad avere il merito di operare un adeguato bilanciamento tra gli interessi contrapposti, consentono anche di garantire l’operatività e l’effettività del diritto all’oblio.
Tale conclusione permetterebbe, inoltre, di prescindere dal requisito procedurale, concernente la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al pubblico, che, da un lato, pare contrastare con l’esigenza di celerità nella pubblicazione delle notizie e, dall’altro, appesantisce ingiustificatamente l’esercizio del diritto di nuovo conio.
3. Il diritto all’oblio nell’era c.d. digitale
La precedente accezione di diritto all’oblio risulta inidonea a garantire i diritti degli interessati a seguito dell’avvento di internet.
Nell’era digitale, infatti, l’immensa memoria messa a disposizione dai byte non solo aumenta la quantità di dati immagazzinabili dal motore di ricerca, riducendo, contestualmente, la possibilità di dimenticanze, ma influisce anche sulla temporalità, consentendo in ogni tempo di accedere alle informazioni, indipendentemente dal momento della loro pubblicazione o dell’accadimento che le riguardava.[17]
Nella rete telematica, che si pone come un mare magnum di dati e di informazioni, spesso non strutturate, in cui risultano assenti, a differenza di quanto avveniva negli archivi cartacei, i criteri essenziali dell’archiviazione, relativi alla qualità dell’informazione e alla contestualizzazione della stessa,[18] non risulta diffusa la pratica di cancellare dai siti internet i dati, né tale operazione di cancellazione risulta di facile attuazione in quanto gli stessi sono replicati in altri siti e nelle cache, per renderli più agevolmente consultabili al momento della richiesta.[19]
Pertanto, nell’era digitale, diversamente da quella analogica, il diritto di cronaca rischia di prevaricare eccessivamente il diritto alla riservatezza e/o all’identità personale (anche se nel caso de quo sarebbe più corretto parlare di identità digitale), atteso che le informazioni pubblicate sono immediatamente, facilmente e indefinitamente reperibili sulla piattaforma online.
Considerate le importanti innovazioni che internet ha apportato sulle modalità di “fare informazione”, la dottrina ha osservato come in tale contesto non sia più necessaria la ripubblicazione della notizia per farla “rivivere”, in quanto la stessa, rimanendo a tempo indeterminato nel web, potrebbe rivivere semplicemente con un click.
Pertanto, in relazione alle notizie immesse sulla piattaforma digitale, il diritto all’oblio non può più considerarsi solo in senso statico, ossia come diritto alla non ripubblicazione delle informazioni ma deve necessariamente considerarsi in senso dinamico, cioè come diritto alla contestualizzazione, all’aggiornamento e all’integrazione della notizia.
Infatti una notizia, pur legittimamente pubblicata, se non aggiornata, non risulta più veritiera e si pone quindi come lesiva del diritto all’identità personale/digitale del soggetto coinvolto.
Di conseguenza, a seguito dell’avvento di internet il bilanciamento tra l’interesse degli utenti a conoscere e a ricercare le notizie riguardanti una persona determinata e l’interesse di questa alla sua riservatezza/identità digitale verterà, da un lato, sulla necessità che la notizia venga memorizzata nel motore di ricerca e, dall’altro, sulla sua contestualizzazione. [20]
Sarà lo stesso diritto all’identità personale/digitale a circoscrivere e ad individuare i limiti della pretesa alla contestualizzazione.[21]
In tale contesto, pertanto, l’aggiornamento della notizia non potrà che essere volto a garantire all’interessato il collegamento ad altre informazioni successivamente pubblicate, concernenti l’evoluzione della vicenda, che possano completare, o addirittura mutare, lo status quo esistente al momento della prima pubblicazione.[22]
Quindi, la predetta opera di contestualizzazione delle informazioni permetterà al diritto di cronaca di affermarsi e prevalere sul diritto alla riservatezza della persona coinvolta nella vicenda pubblicata, scongiurando qualsiasi rilevanza applicativa del diritto all’oblio.
4. Il diritto all’oblio e il Regolamento UE n. 2016/679 c.d. G.D.P.R.
Alle sopra esposte accezioni di diritto all’oblio, di origine prettamente nazionale, se ne è aggiunta un’altra, di origine sovranazionale[23] che, come si vedrà in seguito, si pone anche a fondamento della recente normativa in materia di dati personali (Regolamento Ue 2016/679 c.d. “G.D.P.R.”).
Tale accezione è stata elaborata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel c.d. caso Google c. Spain, che si pone quale leading case in materia di diritto all’oblio.
In tale sentenza la Corte sovranazionale, nel superare gli orientamenti tradizionali sul diritto all’oblio volti a circoscriverlo al solo diritto alla non ripubblicazione della notizia o alla sua contestualizzazione, si spinge oltre, qualificando il diritto di nuovo conio come diritto alla c.d. “de-indicizzazione”, intesa come diritto ad impedire il ritrovamento dell’informazione attraverso i motori di ricerca.
L’interpretazione del diritto all’oblio come diritto alla de-indicizzazione della notizia viene completata dalla disposizione di cui all’art. 12 della Direttiva 95/46/CE, ora trasfusa nel c.d. “GDPR”, che attribuisce all’interessato il diritto alla rettifica, alla cancellazione o al congelamento dei dati.
Pertanto, l’orientamento comunitario, al fine di liberare il diritto all’oblio dagli angusti limiti del divieto di ripubblicazione della notizia o della contestualizzazione della stessa, formula una nozione più ampia di tale diritto, qualificandolo infatti come diritto al controllo della propria identità digitale.
Tale accezione non è rimasta lettera morta nella giurisprudenza, in quanto è stata ripresa dall’art. 17 del Regolamento Ue 2016/679 “c.d. G.D.P.R.” che, espressamente, menziona il diritto all’oblio.[24]
Tra l’altro, l’art. 17 del G.D.P.R. pur garantendo il diritto alla cancellazione dei dati riconosce che, in alcuni casi, il diritto all’oblio debba necessariamente essere recessivo. In particolare, vi sono dei dati che, in relazione alla funzione svolta, non possono essere cancellati.
La cancellazione di questi, infatti, non può essere invocata quando la conservazione degli stessi è imprescindibile per l’assolvimento di finalità di ordine storico-statistico, didattico-culturale, per adempiere ad un principio generale di trasparenza dell’attività amministrativa, o più in generale, per il persistente interesse sociale rispetto ad esse.[25]
Si pensi all’ipotesi in cui l’amministrazione abbia necessità di conservare i dati relativi all’anagrafica del dipendente o quelli relativi alla certificazione della malattia per giustificare l’assenza dello stesso. In tali casi, il dipendente non potrà chiedere la cancellazione perché trattasi di dati necessari allo svolgimento della regolare attività amministrativa.
In tali ipotesi, nel bilanciamento tra l’interesse a che determinati dati relativi alla propria identità digitale rimangano riservati e quello relativo al buon andamento dell’attività amministrativa, si deve attribuire rilevanza a quest’ultimo.
In questi casi il bilanciamento non è tra il diritto all’identità personale/digitale e il diritto di cronaca, ma tra il diritto all’identità personale/digitale e il diritto al buon andamento o alla trasparenza dell’attività amministrativa ex art. 97 Cost.
Chiarito ciò, in relazione all’aspetto della cancellazione si ritiene altresì opportuno trattare brevemente anche la questione concernente la conservazione del dato, che è sempre afferente alla dimensione giuridica dell’identità personale.[26]
Infatti, il GDPR, oltre a tutelare l’interessato, garantendogli il diritto alla cancellazione, alla rettifica o alla limitazione del dato, gli assicura, al momento del rilascio del dato, anche l’indicazione di un termine di conservazione dei dati stessi o, laddove non sia possibile, i criteri utilizzati per determinare tale periodo.[27]
Tuttavia, la definizione di un termine univoco non è di agevole individuazione, in quanto i dati che una amministrazione si trova a detenere sono piuttosto eterogenei e rendono impossibile una trattazione unitaria.
Pertanto, al fine di contemperare l’esigenza del privato alla conoscenza di un termine di conservazione e quella dell’amministrazione o del service provider alla definizione di criteri univoci per la conservazione dei dati stessi, non si può prescindere dall’individuazione di un termine che metta al riparo i soggetti che hanno a disposizione i dati da eventuali e future iniziative giudiziarie da parte dei titolari del dato personale.
Di conseguenza, il termine di conservazione dovrebbe essere come superiore a quello della prescrizione ordinaria.
5. Conclusioni
Alla luce di quanto detto, si può notare come il diritto all’oblio sia mutato di pari passo con l’evoluzione tecnologica e come, di conseguenza, siano cambiate le tutele predisposte dall’ordinamento.
Infatti, se nell’era analogica il diritto all’identità personale e alla riservatezza veniva garantito dal mero divieto di non ripubblicazione della notizia, con l’avvento di internet e, con la conseguente, digitalizzazione di quasi tutte le attività di comunicazione, si è visto come tale tutela si sia rilevata del tutto inadeguata a proteggere il dato personale.
Pertanto, si è ritenuto opportuno interpretare il diritto all’oblio come “controllo” del dato immesso nel web, garantendo al titolare, oltre alla de-indicizzazione dell’intero contenuto e de-indicizzazione per nominativo, anche la cancellazione, la rettifica o la limitazione del dato stesso.[28]
Ciò ha messo in evidenzia, innanzi tutto, l’attitudine evolutiva del diritto, atteso che questo non deve fungere da “gabbia argomentativa”,[29] bensì deve adeguarsi alla realtà sociale; soprattutto, ha messo in luce il rapporto tra diritto e tecnologia che non è di contrapposizione, come potrebbe sembrare a prima vista, ma di interazione poiché il diritto stabilisce i principi e le regole e la tecnologia li attua.[30]

(Fonte: http://www.salvisjuribus.it)